In Italia, ahinoi, porta lo stesso cognome di un bizzarro trasformista politico, simbolo della decadenza politica e della trasformazione nel nulla cosmico della sinistra tricolore: Migliore, sì ma Gennaro, il portavoce dell’inqualificabile mini-partito personale di Matteo Renzi. I più nostalgici come me magari ricordano un grande comunista come Palmiro Togliatti, soprannominato appunto “il Migliore”.
Ma la traduzione anglofona è Best, il nome è George insieme rappresentano quello che per un decennio è stato sicuramente il miglior giocatore europeo di calcio, appunto George Best.
Il libro di Stefano Friani, edito da Milieu Edizioni (320 pp., 17,90 euro) all’interno della collana Parterre, non si va aggiungere alla già abbondante bibliografia sul calciatore nordirlandese ma è un punto di vista che interseca giornalismo, saggistica e storytelling che aggiunge dei connotati che vanno oltre il bidimensionalismo (tutto buono o tutto cattivo) con cui quasi sempre è raccontata la storia di questo sportivo sui generis.
Un libro che va oltre, e per questo sono d’accordo sul sottotitolo “Una storia inedita di George Best”. Un’architettura letteraria che raccontando la mille volte citata storia di Best, coglie al balzo la storia europea che va dai rampanti e immaginifici anni ’60 alla decadenza degli anni ’80, un parallelo che funziona (come funzionò quando lessi il libro su Dasaev).
Come avvenuto per la recensione scorsa su Sparwasser, in cui mi sono soffermato sulla copertina del libro, non posso esimermi dal farlo anche in questo caso, perché la foto scelta è bellissima ed evocativa. La strada dove George è cresciuto, resa tetra da una tipica giornata uggiosa e dal contesto periferico: si notano dei particolari come delle cartacce ai lati della strada, le facce felici e impegnate dei giovani virgulti nordirlandesi, bambini che seguono il pallone come assoluto protagonista, e lui bello come pochi, elegante nelle sue movenze (notare come si aggiusta il pallone con l’esterno), dandy e puro come quel suo maglione bianco a collo alto, i capelli da Beatle, il tutto ci restituisce una foto bellissima contornata dal font deciso e semplice anche questo azzeccato.
Il libro inizia col racconto dei migliori anni a Manchester dell’estro nordirlandese e fin qui tutto bene, poi come il funambolico protagonista inizia a essere un racconto repentino, ubriacante, senza soste. Si raccontano le sue gesta in nazionale, esperienza ricca ma mai fortunata, unico giocatore di caratura infinita a non aver mai giocato un mondiale, prosegue con i capitoli più interessanti, quelli iniziati con il girovagare in tutto il globo, vestendo maglie storiche come quelle più improbabili, in un continuum territoriale che va dagli Stati Uniti passando per Hong Kong e giunge fino all’Australia. Si è detto che fu un calciatore moderno ante litteram, sicuramente è inconfutabile la sua sussunzione al capitale finanziario: fu artefice di guadagni spropositati come di sperperi senza fine. Fu donnaiolo impenitente come bevitore suicida, ma questo è il suo marchio di fabbrica che tutti conosciamo, ma fu anche tanto altro, ragazzo timido ed introverso, lettore vorace di libri, amava Shakespeare e pare avesse letto Solzenicyn, fu tenero marito da sobrio ma un manesco maschilista durante le sue sbronze, come il più grande calciatore di sempre Maradona, i suoi compagni dicevano che le cose migliori nei campi da gioco le faceva in allenamento, aveva il sogno di scrivere un romanzo e amava il cinema. Il merito del racconto di Friani che ho apprezzato fin da subito è quello di aver “usato” Georgie più come pretesto per raccontare quello che si conosce un po' meno, come per esempio il calcio americano e suoi esperimenti per renderlo uno sport capace di attirare masse anche oltreoceano, i racconti del conflitto tra protestanti e cattolici, il suo disinteresse politico, il suo amare la vita e protendere verso la morte.
Il libro è un viaggio fruttuoso, per chi ha voglia di non immischiarsi in racconti bomberistici, o nostalgici, la vita e la morte di George Best ci insegnano tante cose perché dentro ognuno di noi possiamo riconoscere il bene e il male che convivono in maniera mai lineare ma sempre tortuosa e personale.
Chiudo con la frase di uno striscione esposto durante i funerali: MARADONA GOOD, PELÈ BETTER, GEORGE BEST! Buona lettura.
Daniele Poma