Nonostante sia pressoché uscito dai radar dell'opinione pubblica, il conflitto in Donbass è lontano dal trovare una soluzione definitiva e prosegue col suo carico di lutti, distruzione e con tutte quelle contraddizioni che i numerosi lavori di controinchiesta sono riusciti a mettere in risalto, rompendo così il monopolio dell'informazione da parte dell'intellighenzia filo-atlantista, mettendola di fatto di fronte all'evidenza di supportare alcune forze dichiaratamente naziste in nome della “democrazia”. Al netto delle dissertazioni e delle analisi geopolitiche, anche noi vogliamo dare il nostro contributo, affrontando uno di quegli argomenti che anche a queste latitudini infiamma i cuori e riesce quantomeno ad alleviare la durezza e la tragicità della vita quotidiana: il calcio. Infatti, lo Shakhtar Donetsk, la squadra nata dai minatori a cui anche Joe Strummer dedicò una canzone, vero e proprio dominatore del calcio ucraino dell'ultimo ventennio, (cioè da quando salì alla presidenza l'oligarca Rinat Achmetov, una figura controversa che ha giocato un ruolo ambiguo allo scoppio del conflitto) con l'acuto della vittoria dell'Europa League nel 2009, dopo una paventata “fuga”, poi rientrata, dei suoi giocatori stranieri, ha abbandonato la sua tana, la Donbas Arena, per spostarsi oltre 600 miglia a Ovest, a Leopoli, e anche le frange più estreme dei suoi hooligans sembra abbiano metabolizzato bene il trasloco, poichè si sono arruolati in massa in “Pravy Sektor”.
Il trasferimento del club nero-arancione (sorte analoga è toccata anche alla Dnipro e al Metalist di Kharkiv) non fu accolto bene dalle autorità filorusse: l’ideologo separatista Konstantin Dolgov promise pubblicamente che lo Shakhtar non avrebbe mai rimesso piede a Donetsk, lanciando un appello per la formazione di una “squadra del popolo”, facendo leva sulla passione popolare per il calcio a queste latitudini. Infatti nerl giro di poco tempo, è stato imbastito un campionato con giocatori professionisti e semiprofessionisti, ma proprio per il portato simbolico che ha assunto qui il calcio, anche le milizie popolari a difesa delle autoproclamate repubbliche hanno sentito il bisogno di creare una loro squadra, il CSKA del Donbass. Abbiamo avuto la fortuna di metterci in contatto con l'ideatore di questo progetto che ha accettato di rispondere a qualche domanda in merito, in modo da far conoscere questa storia anche ai nostri lettori.
Come avete creato la vostra squadra di calcio?
Quando i combattimenti a Debaltsevo sono terminati, io ei miei amici abbiamo organizzato un torneo vicino al fronte, pensato per le persone che hanno sofferto la durezza della guerra. Così ha avuto inizio la storia della nostra squadra. Poi siamo entrati nel Campionato della Repubblica Popolare di Lugansk e abbiamo vinto la Coppa, senza l'aiuto di nessuno, ma solo grazie all'entusiasmo degli appassionati che gestiscono praticamente ogni aspetto. E adesso non abbiamo nemmeno l'opportunità di pagare l'autobus per andare alle partite.
Qual è il suo ruolo nel Donbass?
Questo è il primo club militare, basato sulla storia della lotta contro il fascismo. Noi difendiamo l'onore sportivo di tutti gli eroi del Donbass che hanno combattuto la Rivoluzione del 1917, la Grande Guerra Patriottica, la guerra in Afghanistan e la guerra moderna del Donbass contro il fascismo del governo di Kiev. Vogliamo che la “professione” militare nel Donbass abbia un proprio club di calcio, come in Russia, Bulgaria, Serbia e così via. In secondo luogo, vogliamo costruire un club nazionale con una scuola di calcio per bambini. Vogliamo che la gestione del club sia appannaggio di persone comuni. Il club è stato mantenuto grazie ai contributi di persone simili e sviluppato proprio per merito del desiderio della gente comune. Per fare questo, abbiamo bisogno di aiuto finanziario da parte di chiunque voglia aiutarci per realizzare un sogno per la nostra gente e non solo: quello di un calcio estraneo ai dettami del business.
Qual è la situazione in Donbass?
Come sapete tutti, nel Donbass è in corso una guerra civile di liberazione popolare. Il Donbass è stato da tempo identificato come una regione speciale, che ha il diritto all'indipendenza e al proprio percorso di sviluppo; nacque come una regione autosufficiente già ai tempi dell'Unione Sovietica e combatte per la difesa di quei valori e di quelle tradizioni che ci sono care: le insegne della Vittoria, dell'antifascismo, dell'internazionalismo e dell'amicizia tra i popoli.
Qual è la tua opinione sul conflitto?
Questo conflitto avrebbe già dovuto vedere la fine nel 2014, con la definitiva sconfitta del fascismo. Molto tempo è stato perso. Ora, quello che è importante è mantenere il Donbass nei confini delle regioni di Donetsk e Lugansk.
Pensi che ci possa essere una buona conclusione?
Sono ottimista. Sono sicuro che abbiamo vinto il nostro diritto all'autodeterminazione. La cosa che ci sta a cuore adesso è liberare l'intero Donbass.
Qual è il ruolo dello sport nella situazione della guerra dopo il trasferimento forzato dello Shakhtar?
Lo Shakhtar è di fatto un club ucraino. Il Donbass non è l'Ucraina. Dobbiamo costruire il nostro calcio e attirare molti bambini. Abbiamo i nostri club. Lo Shakthar dovrebbe rimanere in Ucraina.
Riuscite a vivere la quotidianità degli sportivi allenandovi anche in un contesto di guerra civile?
Sì. Anzi, non solo ci alleniamo, ma coltiviamo anche la storia della Grande Guerra Patriottica, quando si giocava a calcio anche nei momenti più difficili a Leningrado e Stalingrado! Perché il calcio è il miglior messaggero dello spirito! Mantenere alto lo spirito morale è il primo compito, affinché il paese non perda coraggio in questo difficile periodo di guerra. È importante impegnarsi soprattutto con la generazione più giovane, affinché i giovani crescano con valori sani e senza avere mai avuto fascismo in casa nostra!
Come riuscite a coniugare l'antifascismo col calcio popolare e con la difesa di queste regioni, avete riscontrato difficoltà?
Non appoggiamo il calcio commerciale. Stiamo cercando di sviluppare il calcio popolare, perché le persone vengono prima dei soldi! Purtroppo, molti giocatori pensano solo al denaro. Ma coloro che giocano con noi, soprattutto, devono essere delle persone che vogliono creare e costruire un'idea differente di calcio che miri alla stabilità, anche finanziaria.
Avete delle difficoltà particolari in ciò?
Non abbiamo i mezzi per sviluppare tutti i nostri progetti. Non possiamo pagare i trasporti e i costi per sostenere il Campionato, abbiamo bisogno di attrezzature ed equipaggiamenti. Inoltre, quello di cui abbiamo bisogno è l'aiuto di altre persone che sono contro il calcio-business per stabilire delle connessioni stabili e durature.
Può il calcio popolare ricondurre la popolazione locale ad una vita normale quando sarà finita la guerra?
Nel Donbass piace il calcio. E il calcio è l'unico modo per andare avanti verso la normalità le nuove generazioni. Anche ora il calcio è una necessità per le persone, è il loro riposo dalla guerra. In tempo di pace il calcio sarà in grado di dare forza alle persone affinché possano ricostruire il nostro paese.
Avete avuto problemi con la Federcalcio ucraina o con lo Stato ucraino nel vostro cammino?
L'associazione di calcio ucraina non riconosce il nostro calcio e sta cercando costantemente una scusa per parlare di politica, non di sport. Non abbiamo alcun rapporto con l'Associazione di calcio ucraina.
Cosa conosci delle realtà italiane?
Sappiamo molto. Noi appoggiamo e rispettiamo Livorno. Cristiano Lucarelli suscita in noi ammirazione e rispetto come tutti gli ultras del Livorno d'altro canto.
Quali sono le vostre prospettive future, una volta che il conflitto sarà terminato?
Al momento, ci limitiamo a sperare che il governo di Kiev venga rovesciato dalla gente e che ci possiamo avviare tranquillamente ad ottenere l'indipendenza del Donbass.
Hai qualche ricordo speciale che vuoi condividere con noi e coi nostri lettori?
Sì, l' 8 febbraio 2015 il mio amico Vsevolod Petrovsky è stato ucciso. Anche lui sognava di creare una squadra di calcio. Porto avanti questo club anche in memoria del mio amico.
È il momento dei pensieri a ruota libera o dei saluti.
Mi limiterò a dire che “Siamo una lega più forte dell'acciaio” e “Il nostro motto costante è la vittoria, in ogni ambito di azione!”.
Giuseppe Ranieri