Com'era facilmente prevedibile, l'ondata di commozione succeduta ai brutali attentati dello scorso 13 novembre a Parigi ha fatto serrare i ranghi alla comunità francese, la quale ha deciso di rispondere con una grande affermazione di fermezza e orgoglio nazionale che ovviamente, e non poteva essere altrimenti, ha investito anche lo sport. Avevamo già accennato che uno dei primissimi provvedimenti adottati dal Ministro dello sport francese Thierry Braillard insieme a Noël Le Graët, presidente della Federazione calcistica francese, la Fédération Française de Football (FFF), era stato quello di vietare le trasferte ai tifosi per motivi di sicurezza, oltre che annullare le partite previste nella regione circostante Parigi, l'Île de France. Inoltre, in tutta Europa, in segno di solidarietà, sarebbe stata intonata la “Marsigliese” prima dei vari incontri che si sarebbero disputati nel passato weekend. Sin da quando queste misure sono state disposte, l'obiettivo del mondo sportivo francese, ma forse più in generale di buona parte dell'opinione pubblica transalpina, era focalizzato sullo stadio “Armande Cesari” di Bastia, conosciuto altresì come “Stade Furiani” che avrebbe ospitato un derby della Corsica, vale a dire il match tra la squadra locale, lo Sporting-Club Bastia e l'Ajaccio Gazélec (la seconda squadra della cittadina corsa, benché quest'anno si trovi in una categoria superiore rispetto ai cugini dell'Ajaccio), che mancava da ben ventidue anni.
Il timore era quello di assistere a una dura contestazione da parte dei tifosi locali, gli Ultras Bastia 1905, che da sempre sostengono posizioni indipendentiste e che già in precedenza (per la precisione durante la finale di Coppa di Francia del 2002, persa per 1-0 contro il Lorient) subissarono di fischi l'inno nazionale al punto da far abbandonare lo stadio all'allora Presidente Chirac, a dir poco indignato. Infatti, nei giorni precedenti il derby, gli stessi Ultras Bastia, che già dopo l'attentato alla sede di “Charlie Hebdo” dello scorso gennaio presero parola contro quella che definirono ipocrisia nazionale con uno striscione (che a mio modesto parere meriterebbe un po' più di attenzione, studio e riflessione generale) “Il Qatar finanzia il Psg e il terrorismo”, hanno diramato un comunicato in cui si rimarcava l'inutilità di quest'iniziativa, sia perché in quel giorno si sarebbe dovuta ricordare la scomparsa di uno storico collaboratore del club (Dume Albertini), avvenuta l'11 novembre, e sia perché essa veniva ritenuta dagli stessi spropositata alla luce del fatto che erano stati già presi accordi con i tifosi del Gazélec per ricordare le vittime dell’attentato: “Non ci piace questa presenza massiccia di polizia in un evento che ha a che fare solo con la Corsica. La sicurezza eccessiva potrebbe creare tensioni. La polizia deve stare a casa. Questa partita è nostra, della nazione corsa e della nostra gente, è inaccettabile che un evento pubblico sia reso privato”. A conferma del clima nebuloso che si stava creando sono comparse delle scritte sul Municipio cittadino che testimoniavano lo stato d'animo dell'ala più indipendentista della città: “Tristi sì, francesi mai!”, oppure “Lutto francese, lutto nazionalista”. Infatti a pochi giorni dal match stava montando un caso, perché nel programma ufficiale della partita, distribuito dalla società, non veniva fatta menzione dell'esecuzione della "Marsigliese" e si diceva che questa sarebbe stata sostituita dal "Diu vi salvi Regina" che dal 1735 è diventato l'inno corso, proprio per timore dei fischi degli ultras locali, scatenando uno sciame di proteste anche in seno alla stessa Assemblea della Corsica da parte di alcuni suoi consiglieri, fino ad arrivare a una presa di posizione ufficiale del Presidente della "Communauté d’Agglomération de Bastia" (CAB) François Tatti e dal sindaco di Bastia, Gilles Simoni, allo scopo di far eseguire l'inno francese come segnale di solidarietà e vicinanza al lutto.
Dopo delle “pressioni informali” e la paura instillata ad arte di diventare un “caso” unico nel panorama europeo di mancanza di vicinanza al dolore delle vittime degli attentati, la società padrona di casa ha ceduto e così sabato (il derby è stato rinviato di un giorno per il forte vento) la partita è stata preceduta, oltre che dall'inno corso, durante il quale è stato srotolato uno striscione in dialetto isolano “Ripusate in pace”, anche dall'esecuzione della “Marsigliese”, alla quale non hanno assistito gli ultras locali che sono entrati alla sua fine e hanno dichiarato che pur nel rispetto del dolore umano per le vittime quell'inno non gli apparteneva, nella piena compiacenza della stampa mainstream francese che nella maggioranza dei casi ha finto di ignorare questa forma di protesta degli Ultras Bastia. Non è la prima volta che sui campi di calcio francesi l'inno nazionale diventa una pietra dello scandalo, senza doverci avventurare in esercizi mnemonici impegnativi, oltre alla finale di Coppa di Francia ricordata in precedenza, saltano subito in mente i ricordi dei match tra la nazionale dei galletti e le nazionali magrebine disputatesi tutte a St. Denis: contro la Tunisia nell'ottobre 2008, contro il Marocco nel 2007 e contro l'Algeria nel 2001, e in quest'ultimo caso, che sarebbe dovuto essere un momento di riconciliazione con l'ex colonia, ci furono addirittura invasioni di campo dei tifosi algerini e lancio di lattine e altri oggetti contro i ministri francesi in tribuna autorità, che fecero indignare Sarkozy, al pari dei suoi ministri e dei predecessori al punto da fargli dichiarare che se si fossero ripetuti comportamenti analoghi si sarebbero dovute sospendere le partite. È evidente che per quanto riguarda la nazione francese, anche lo sport (e più precisamente, come ha dimostrato la notte del 13 novembre) il calcio, concorra all'edificazione di una coscienza nazionale moderna anche se a quanto pare non affrancata fino in fondo dai vecchi paradigmi post-coloniali; ed è altresì evidente come quest'operazione non possa avvenire, come pure si vorrebbe, con un colpo di spugna, esasperando le pratiche assimilazionistiche e cercando di ignorare tutte quelle frizioni e contraddizioni che per anni si sono sviluppate nel tessuto sociale francese e che hanno portato, e continuano a portare, importanti fasce di società all'esclusione sociale. Altrimenti il rischio è quello di cristallizzare certe divisioni che poi si rivelano irreparabili fino alle estreme conseguenze, e aver fatto finta di nulla sarà servito a poco, se non a preparare sempre nuovi hashtag di solidarietà, tra le lacrime di coccodrillo dei potenti e quelle di reale disperazione della popolazione inerme, costretta a pagare, ancora una volta, colpe non sue. E magari tifando anche, oltre al danno la beffa, quella stessa squadra il cui presidente fa, direttamente o indirettamente, affari con i carnefici.
Giuseppe Ranieri